Durante un sopralluogo condotto sulla scena di un omicidio, l’ispettore della polizia di Edimburgo Carl Morck (Matthew Goode) viene colpito da una pallottola che lo attraversa senza lesionare i suoi organi vitali. Se Morck riesce a superare illeso quello che sembra un vero e proprio agguato, lo stesso non può dirsi per i colleghi che lo accompagnano: l’amico e storico partner, James (Jamie Sives), resta infatti paralizzato dalla cintola in giù, mentre il giovane agente Clark (Aron Dochard) perde la vita. Segnato dal trauma, Morck è frustrato dal fatto di non poter indagare sul caso in cui è direttamente coinvolto; egli è inoltre costretto a convivere con un pesante senso di colpa, sentendosi responsabile dell’accaduto. Come se non bastasse, Carl ha di per sé un caratteraccio, irascibile e asociale, ed è tanto brillante nelle investigazioni quanto refrattario ad instaurare relazioni cordiali con le altre persone. Per tenerlo impegnato e contenere le sue esuberanze caratteriali, il capo della polizia, Moira Jacobson (Kate Dickie), decide di affidargli un nuovo incarico: dovrà coordinare un’unità investigativa focalizzata sui casi irrisolti, il Department Q. Per quanto la nuova unità abbia soprattutto lo scopo di distrarre l’opinione pubblica, Morck inizia ad indagare seriamente su un vecchio caso: la scomparsa della procuratrice Merritt Lingard (Chloe Pirrie). La donna, scomparsa da oltre quattro anni, è ritenuta morta dai più, ma il fatto che il corpo non sia mai stato rinvenuto lascia qualche flebile speranza. Nelle indagini l’ispettore è affiancato da due improbabili assistenti: il rifugiato siriano Akram (Alexej Manvelov), ex agente di polizia, e Rose (Leah Byrne), traumatizzata per aver investito una coppia di anziani e adibita da allora al lavoro d’ufficio. Anche James, impegnato nel disperato tentativo di riacquistare un po’ di sensibilità alle gambe, partecipa alle indagini, seppur a distanza, prima dalla sua stanza d’ospedale e poi da casa.
Dept. Q è una serie britannica creata e diretta da Scott Frank (La Regina degli Scacchi), con il prezioso contributo alla regia di Elisa Amoruso (The Good Mothers), che dirige tre dei nove episodi. La sceneggiatura è basata sul primo volume della serie di libri della scrittrice danese Jussi Adler-Olsen, editi in Italia da Feltrinelli. Il genere del racconto è un thriller, alleggerito con un po’ di humor nero e arricchito a livello drammatico dall’accento posto sui rapporti familiari, nelle loro diverse sfaccettature. E’ proprio questo aspetto, ben rappresentato da tutti gli interpreti, il valore aggiunto della serie che, per l’ampio uso di violenza, spesso esplicita, è consigliata ad un pubblico adulto o a ragazzi dai 14 anni in su, preferibilmente accompagnati. Non sono presenti scene esplicite di sesso e nemmeno nudi frontali, anche se il corpo, sia maschile che femminile, viene occasionalmente esposto allo sguardo dello spettatore in situazioni di intimità. L’uso di un linguaggio volgare, sia gestuale che verbale, sembra una prerogativa del genere a cui anche Dept. Q non intende sottrarsi, anche se fa eccezione il personaggio di Akram, esule siriano dai modi compassati (anche se spesso letali).
Come dicevamo, la scrittura dedica attenzione alla dimensione privata dei personaggi e a una molteplicità di temi relazionali riconducibili ai rapporti familiari, con uno sguardo particolarmente attento alle fragilità dell’adolescenza. E’ questo un polo narrativo che si sviluppa in parallelo alle indagini e che in più occasioni si interseca con l’investigazione, soprattutto per Mork, il cui rapporto con il figliastro è ricco di sfumature. La relazione tra genitori e figli ritorna a più riprese, coinvolgendo numerosi personaggi: Merritt Lingard e il padre; lo psicopatico Lyle Jennings e l’agghiacciante madre, il capo della polizia di Mhòr e il figlio che lavora con lui. Non c’è l’urgenza problematica delle nuove tecnologie, l’ansia legata all’esposizione del corpo sui social media o l’inquietudine per i rischi legati al cyber-bullismo, quanto piuttosto la difficoltà tout court del rapporto genitori-figli, al di là degli strumenti di comunicazione. Quella che potrebbe sembrare una scelta poco moderna in realtà coglie la radicalità della questione, il suo nucleo essenziale. L’oggetto del discorso non è di natura tecnica (o meglio tecnologica), ma piuttosto riguarda l’essenza stessa della relazione. La trattazione però non si discosta dal discorso comune, pur riuscendo a descrivere con chiarezza come l’apertura verso gli altri richieda un di più superiore alle forze dei protagonisti.
Mork è un eroe moderno: la sua qualità principale è la perseveranza. E’ questo l’altro tema forte della serie: la qualità che consente all’ispettore, pur tra mille problematiche, di riaprire con successo il caso Lingard e scardinare il meccanismo arrugginito del rapporto con il figliastro. Una qualità che lo accomuna alla sua squadra che in modi diversi: chi più psicologico (Rose), chi culturale (Akram) e chi fisico (James) non si lascia sconfiggere dalle avversità. Proprio come l’altro personaggio respingente e antisociale del racconto, cioè la procuratrice Lingard: anche lei resiste per quattro lunghi anni di prigionia, cercando nel proprio passato non solo le risposte ai motivi del rapimento, ma anche la forza per continuare a sopravvivere. I personaggi sono portatori di emozioni e di umanità, ma sempre con un tono misurato e contenuto, che predilige uno sguardo espressivo ad una parola o ad un gesto eclatante: è questa una tonalità emotiva davvero molto britannica, così come l’ambientazione e l’inconfondibile humor nero: la combinazione di questi elementi inserisce con coerenza la produzione in un contesto culturale e geografico definito e facilmente identificabile dal pubblico. I dialoghi in lingua originale mostrano poi chiaramente la differenza di accento tra l’inglese Mork e i colleghi scozzesi: l’origine dell’ispettore è oggetto di battute, sia da parte di James che della psicologa della polizia con cui è costretto a relazionarsi, Rachel Irving (Kelly Macdonald). Un modo efficace per esprimere tratti identitari ancora oggi in conflitto tra loro.
Il personaggio di Rachel ci permette di toccare un altro aspetto per cui la serie può essere un interessante terreno di confronto: lo stress correlato al lavoro. Nel caso dei poliziotti coinvolti nel caso appare particolarmente evidente, non solo come disturbo consequenziale ad eventi tramutatici (come per Rose che ha investito una coppia di anziani durante un inseguimento), ma come compagno quotidiano con cui confrontarsi. E’ questo un rischio trasversale spesso sottovalutato, ma ampiamente diffuso nel mondo del lavoro, e pensare di potersi dotare di professionisti specializzati a disposizione dei lavoratori, come prevede la polizia scozzese, rappresenta una prassi molto interessante per una molteplicità di lavoratori esposti a questa situazione di rischio.
Come detto, la strutturazione della parte drammatica ci consente di attivare la discussione sui temi proposti, andando oltre alla parte investigativa, che comunque sorregge la visione grazie al ritmo serrato e ai frequenti colpi di scena. Non ci sono visioni forti o punti di vista divergenti da quelli più diffusi, ma c’è quanto basta per avviare una riflessione costruttiva.
Fabio Radaelli