CONSIGLIATO DA ORIENTASERIE
NYC, 1989. Sorpresi a ingannare il tempo a Central Park in mezzo a un gruppo di trenta giovani esaltati, cinque ragazzi di colore tra i 14 e i 16 anni sono ingiustamente arrestati e sottoposti a ore di duro interrogatorio con l’accusa di violenza e stupro ai danni di una ragazza bianca. È l’inizio dell’incubo dei protagonisti di When They See Us, miniserie scritta e diretta da Ava DuVernay, prodotta da Netflix, dove la regista torna ad affrontare temi a lei molto cari, quali razzismo, pregiudizio, ingiustizia sociale e politica. Kevin Richardson, Antron McCray, Yusef Salaam, Korey Wise e Raymond Santana, quattro afro-americani e un ispanico, sono comuni adolescenti, aggrappati ai sogni e i desideri tipici di quell’età, quando la furia violenta della polizia e quella coercitiva del sistema giudiziario si abbattono su di loro.
Prelevati con forza, sottoposti a continue pressioni, i “Central Park Five”, che neanche si conoscono, iniziano a puntare il dito l’uno contro l’altro, piegandosi al volere del potere. Per le autorità legali e i media, i cinque sono il capro espiatorio da sfruttare per restituire credibilità al sistema politico e placare gli animi dei cittadini, inviperiti dal clima di terrore diffuso nella città di New York.
Nella totale mancanza di prove concrete, le confessioni estorte con l’inganno e le verità alterate dalla narrazione preconfezionata degli inquirenti sono sufficienti agli occhi della giuria per confermare la condanna. I quattro episodi affrontano le diverse fasi della vicenda (l’arresto, gli interrogatori, il processo, il carcere, il reinserimento nella società e la liberazione) attraverso un racconto coinvolgente, mai avaro nel mostrare la violenza sopportata dagli adolescenti prima e dai giovani uomini dopo e attento a sottolineare tutte le conseguenze sociali, psicologiche e politiche derivate dalla condanna.
La miniserie di Ava DuVernay riporta all’attenzione dello spettatore uno dei più controversi casi di ingiustizia di cui si è reso protagonista il sistema americano. Nell’era del Black Lives Matter, la serie impone una riflessione su temi come razzismo e pregiudizio, ma anche sul senso etico delle scelte e delle responsabilità individuali di chi, ricoprendo cariche politiche e istituzionali di un certo peso, è chiamato a decidere della vita degli altri. Non manca una riflessione sul tema ampio e profondo dello sguardo. Accostandoci alla visione di When They See Us risulta evidente come il “guardare”, nelle sue diverse connotazioni sociali, politiche e culturali, sorregga l’intero percorso narrativo della serie, fin dalla scelta del titolo. Un titolo che ci impone di riflettere sui numerosi significati di quel “see” -“Perché ci trattano così?”- si chiede uno dei protagonisti nella prima puntata, ma anche e soprattutto su quel “they” -“Ci hanno mai trattato in modo diverso?”- è la risposta ottenuta, che invece di chiudere la questione ne apre una molto più ampia.
When They See Us è un racconto potente, che avvalora totalmente il punto di vista dei protagonisti, vittime sacrificabili, e richiama in maniera diretta lo spettatore, coinvolgendolo emotivamente nelle diverse fasi del doloroso percorso dei cinque condannati.
La regista non ricorre a sfumature e incornicia il racconto in una narrazione ben strutturata, mostrando le diverse sfaccettature dello sguardo: quello corrotto dell’accusa, che ha il volto di Linda Fairstein, e preme per la condanna a ogni costo; quello accusatorio di Elizabeth Lederer, talmente pressata dal sistema e dall’opinione pubblica da sfuggire al senso del dovere, preferendo senza rimorso il “dio della politica”; quello umano e coraggioso di chi lotta in nome dell’innocenza; quello carico di pregiudizio di una società che non fa sconti, non concede spazi e mai riuscirà a guardare questi ragazzi se non attraverso l’etichetta di “stupratori”, rendendo faticoso, e per alcuni di loro addirittura impossibile, il ritorno a una vita normale.
La serie non risparmia alcuna crudezza, ma ha anche il pregio di ampliare gli spigoli della cornice a un’analisi più profonda sulla natura dell’essere umano, mostrando sia l’atteggiamento fiero e coraggioso di quelle madri e di quei padri che non smetteranno mai di sostenere questi figli, gridando a gran voce giustizia; sia le debolezze di chi, da sempre sconfitto da quel pregiudizio radicato nella realtà, non ce la fa a sostenere il peso della situazione e si arrende senza neanche provare a lottare.
Tutti i personaggi, anche Korey, il solo a essere condannato come un adulto e a subire le conseguenze più pesanti della condanna, affrontano uno stesso arco di maturazione, aggrappandosi a speranza e fede per sopravvivere, e aprendosi, dove possibile e non senza fatica, al perdono. Sorretta da una buona scrittura, dalle interpretazioni credibili dei protagonisti e da una narrazione emotivamente coinvolgente, la serie ci mette di fronte a una vicenda difficile da digerire, che provoca nello spettatore sdegno, rabbia e dolore, ma invita anche a interrogarsi con onestà su cosa vuol dire imparare a “guardare” ciò che è altro da noi.
Marianna Ninni
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