Vivere non è un gioco da ragazzi


Qualità generale:
Qualità educativa:


IDEATORE: Fabio Bonifacci
INTERPRETI: Stefano Fresi, Nicole Grimaudo, Lucia Mascino, Claudio Bisio
SCENEGGIATURA: Fabio Bonifacci
PRODUZIONE: Rai Fiction, Picomedia
ANNO DI USCITA: 2023
STAGIONI: 1 (6x50’)
PRIMA MESSA IN ONDA: RaiPlay
DOVE SI PUÒ VEDERE ORA: RaiPlay
GENERE: teen drama, poliziesco

Età cui è rivolta la serie (secondo noi): >16
Presenza di scene sensibili: qualche scena di rapporto sessuale, non esibito.

CONSIGLIATO DA ORIENTASERIE

A questo link il video della diretta su YouTube con Fabio Bonifacci, autore della serie

Un teen drama che sembra scritto in un’era televisiva ormai lontana, in cui era più scontato di quanto non lo sia oggi porsi il problema del tipo di insegnamento implicito che si sarebbe dato con le storie prodotte e diffuse. Al netto di qualche ingenuità e di qualche interpretazione attoriale un po’ acerba e non all’altezza, Vivere non è un gioco da ragazzi è un prodotto davvero interessante, vedibile con i propri figli adolescenti, dove la trasgressione non è esibita per scioccare, ma narrata per aiutare a riflettere. La serie, tratta dal romanzo Il giro della verità di Fabio Bonifacci, che ne è anche ideatore e sceneggiatore,  affronta il problema della droga e lo fa con un racconto dal ritmo pacato, dove il ruolo degli adulti è cruciale. Genitori e insegnanti, pur con i loro limiti, restano punti di riferimento per i ragazzi, e proprio dal recupero di rapporti familiari che sembravano ormai compromessi arriva per i protagonisti la possibilità di una via d’uscita. Nella serie è mostrato in modo piuttosto realistico come ci si possa trovare quasi senza accorgersene a fare uso di droghe – pesanti, come l’ecstasy – il sabato sera, semplicemente perché lo fanno tutti, perché al momento ci si sente meglio o, come accade al protagonista, per fare colpo su una ragazza.

 

 

Approfondimento 

Bologna, una sera come tante, in discoteca Emanuele, per fare colpo su Serena – sua compagna di classe di cui è da tempo innamorato – si   lascia convincere a prendere una “pasta” (ovvero una pasticca di ecstasy). Sarà l’inizio di un percorso che lo porterà in breve tempo a ritenere normale il consumo di droga e a ingegnarsi, in modi più o meno leciti, per pagarsi quel nuovo passatempo, fino a ritrovarsi quasi inconsapevole protagonista di una tragedia. E’ lo spunto da cui parte Vivere non è un gioco da ragazzi, serie di RaiPlay, che vede la storia di Emanuele intrecciarsi con quella dei suoi compagni e dei loro genitori, nel tentativo – riuscito – di raccontare le dinamiche e gli effetti della dipendenza da sostanze, sui ragazzi e sugli adulti.

Un’epidemia di verità

Il protagonista, bravo ragazzo, con una famiglia unita alle spalle (padre elettricista e madre barista), frequenta il liceo dei giovani-bene di Bologna, dove eccelle in italiano, e per farsi accettare dal gruppo, non esita ad adottare gli stessi comportamenti di tutti. La morte di uno dei ragazzi scatenerà una serie di reazioni, prima di totale omertà da parte degli altri, e poi, via via, con iniziali scricchiolii, si avvierà un’ “epidemia di verità” – come viene definita nella serie -, che porterà a svelare i segreti di tutti i protagonisti.
La serie, prodotta da Raifiction e Picomedia (casa di produzione di Mare Fuori ) non è priva di qualche punto debole, soprattutto nella prova di alcuni dei protagonisti, e nella risoluzione, a volte un po’ troppo frettolosa, di vicende presentate inizialmente come prive di via d’uscita. Vi è poi, come ormai nella maggioranza delle storie per adolescenti, un atteggiamento disimpegnato riguardo alla sessualità, considerata una forma di primo approccio, cui potrà seguire una conoscenza più approfondita. Ma su altri aspetti, il racconto è in totale controtendenza con i teen drama  più di successo tra i giovani, in cui prevalgono situazioni di estremo disagio, dove il consumo di droghe è la norma, e pare che il mondo adulto sia praticamente impotente e inadeguato a fornire una qualsiasi forma di aiuto efficace (emblematico il caso di Euphoria), e nei quali non c’è un reale tentativo di dare risposte, di evidenziare percorsi di maturazione dei personaggi.
Il merito della serie di Fabio Bonifacci sta invece proprio in questa intenzione di fondo: raccontare una storia per invitare a riflettere su un problema serio e diffuso, per  valutare le azioni dei protagonisti e individuare alternative. Il racconto è alleggerito da alcune gag e dall’ottima interpretazione di Claudio Bisio, nei panni di un poliziotto “irregolare”.

Stefania Garassini

Temi di discussione

  • La dipendenza da sostanze;
  • I rapporti genitori-figli in situazioni di crisi;
  • L’importanza di dire la verità.