Lorna Brady è una quarantenne burbera e dall’aria tormentata, che vive e lavora come sarta nella fittizia cittadina irlandese di Kilkinure. Una mattina, Lorna si sveglia e scopre di avere in casa il cadavere di una donna, che non ricorda se è stata lei a uccidere oppure no. Infatti, Lorna soffre di sonnambulismo da moltissimo tempo e spesso di notte vaga per la città, compiendo azioni che poi dimentica. Sconvolta e impaurita, Lorna decide di nascondere il cadavere dietro al muro del salotto. Mentre in paese vengono avviate le ricerche sulla donna scomparsa – che potrebbe essere collegata in qualche modo all’omicidio di un prete avvenuto a Dublino – Lorna scopre che forse non si tratta di una sconosciuta come credeva inizialmente. Tanti anni prima, infatti, la donna era una novizia presso il convento di Kilkinure, dove Lorna, appena quindicenne, venne rinchiusa perché incinta e diede alla luce una bambina, apparentemente morta poco dopo la nascita…
A metà strada tra crime drama e thriller psicologico, The Woman in the Wall è una miniserie dalle atmosfere cupe e dai toni forti, che ruota attorno a una storia vera – quelle delle lavanderie della Maddalena – che ha rappresentato una macchia indelebile nella storia dell’Irlanda moderna.
Dopo i film Magdalene di Peter Mullan e Philomena di Stephen Frears, The Woman in the Wall torna a raccontare le terribili vicende delle Magdalene Laundries e di altre strutture gestite decenni fa dalla Chiesa in Irlanda, in cui fino a metà degli anni 90 vennero rinchiuse centinaia di ragazze considerate “problematiche”, o perché rimaste incinte al di fuori del matrimonio o perché troppo moderne e spregiudicate rispetto alla convenzionalissima società dell’epoca. Si tratta di un tipo di istituzioni nate inizialmente in ambito protestante (anche in Irlanda, dove poi furono gestite soprattutto da congregazioni cattoliche) e diffuse ampiamente nel XIX e XX secolo anche in Paesi protestanti come l’Inghilterra e la Svezia. Ma l’Irlanda è il Paese di cui si è parlato di più, sia a causa dei film citati sopra, sia anche lì perché queste istituzioni sono durate fino a tempi più recenti (l’ultima in Irlanda è stata chiusa nel 1996). Di fatto ben due primi ministri irlandesi hanno dovuto scusarsi pubblicamente a nome di tutte la nazione per gli abusi e le violenze inflitte a queste donne (e ai loro bambini) – coperte per anni e non denunciate – che ne hanno irrimediabilmente condizionato il resto della vita.
La serie mescola la linea gialla (l’omicidio del prete a Dublino, le domande su chi sia davvero la donna nel muro e su cosa fosse venuta a fare a Kilkinure, il dubbio riguardante l’autore materiale del suo assassinio) con il dramma personale vissuto da Lorna e da altre donne del paese. Il dipanarsi del caso e la sua soluzione finale metteranno in evidenza come spesso le apparenze ingannano e come una bontà e un altruismo di facciata possano nascondere interessi personali, mentre è nelle persone che si muovono ai margini che si trova la vera luce.
Punto di forza della serie è sicuramente l’interpretazione di Ruth Wilson (celebre soprattutto per il personaggio di Alison Lockhart in The Affair). Lorna è l’antieroina per eccellenza: dura, allucinata, che sorride poco ed è spesso preda dei suoi deliri, ma che non molla mai, in cerca della verità per se stessa e per le altre donne. L’attrice arriva a stravolgere i propri lineamenti e a cambiare completamente postura, muovendosi curva, piegata, come se fosse continuamente schiacciata dal peso dei suoi stessi traumi.
A lei si affianca in scena il personaggio di Colman Akande, un giovane poliziotto interpretato da Daryl McCormack. Apparentemente opposto a Lorna, in realtà condivide con lei la stessa tragedia, essendo stato allevato in una di quelle Case della Madre e del Bambino di cui si parla nella serie e poi dato in adozione. Colman ha sperimentato un’infanzia felice, ha avuto una famiglia adottiva che lo ha amato e gli ha offerto tutte le opportunità, ma non può fare a meno di interrogarsi su tutti i punti oscuri relativi alla sua adozione: la sua madre biologica era consenziente? I suoi genitori adottivi hanno pagato la chiesa (sotto forma di una fittizia donazione) per riuscire ad averlo? Si tratta di quesiti inevitabili e dai quali è impossibile tornare indietro.
La regia adotta toni spesso cupi e spettrali, accostando scene oniriche (come quelle che si svolgono nella testa di Lorna), echi sovrannaturali e un’accusa politica e sociale feroce, che si rivela molto più spaventosa della follia della protagonista. Per fortuna, però, la serie non rinuncia a un’apertura alla speranza: speranza che sulla verità del passato si possa finalmente fare luce, che quelle donne che hanno così sofferto possano infine ricevere un risarcimento (materiale o morale, fosse anche il semplice riconoscimento che i fatti che raccontano sono davvero avvenuti), speranza che tra quei figli e quelle madri separati così brutalmente possa essere ricostruita una qualche forma di rapporto.
Cassandra Albani
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