Nella seconda stagione, Alina Starkov, la giovanissima Evocatrice del Sole del Grishaverse, l’universo immaginario in cui Tenebre e Ossa è ambientato, continua a essere causa di grande controversia nel regno di Ravka: stavolta, a trascinarla al centro della bufera non son tanto gli intrighi scatenati dal suo straordinario potere – il solo in grado di dissolvere la cosiddetta Faglia d’Ombra –, né la solita persecuzione di cui i Grisha – come vengono chiamati coloro che son provvisti di qualche dote sovrannaturale – sono talvolta bersaglio, ma l’accusa di aver provocato lei stessa un allargamento della Faglia. È nel mezzo di questo gran clamore che si fa quanto mai urgente, per Alina, non solo perfezionare la propria arte magica, ma attrezzarsi di alleanze politiche e militari per la resa dei conti con chi la Faglia l’ha originariamente creata: l’Evocatore dell’Ombra, la cui identità è nota solo a chi ha visto la prima stagione.
Un’arcana (e insidiosa) telepatia lega Alina a quest’ultimo, nonché una tormentosa altalena di sentimenti: «Non tutti sono ossessionati dal potere» e «Non tutto è questione di potere» sono alcune delle battute che Alina rivolge al suo antagonista, preoccupato solo di potenziarsi in quanto Grisha. Ma si tratta della stessa Alina che ammette che, senza di lui, non avrebbe mai scoperto il proprio potere: «Il potere comincia a piacerti» le fa notare uno dei suoi alleati. «Non lo nego», confessa Alina. Ecco Tenebre e ossa virare inaspettatamente: là dove la prima stagione faceva orgogliosamente rivendicare alla sua protagonista il possesso di facoltà eccezionali – come se la morale del racconto fosse che, per vivere, occorre assicurarsi una zona di egemonia –, la seconda introduce un dilemma: non sarà che il potere, al contrario, è un’infida seduzione? Non sarà che vivere significa non spartirsi il dominio con gli altri, ma trovare, in mezzo a quegli stessi altri, una relazione che ci costituisca?
Dall’urgenza di accumulare potenza, a quella di spogliarsene; da una (strisciante) brama di dominio, alla disponibilità al sacrificio: questa nuova alternativa è resa ancor più evidente dal raffronto tra Alina e gli altri personaggi (primo fra tutti l’amico di sempre, Mal). Tanto che, in questo secondo capitolo, la serie arriva a contemplare l’ipotesi del dono completo di sé: scelta senz’altro dolorosa, ma – chissà – forse più feconda e financo più soddisfacente.
Una nota a margine: oltre ad un (evitabile) incremento della violenza, a complicare la visione per i più giovani interviene un altro dato; un dettaglio, ai fini del racconto, ma non per questo meno problematico: il personaggio di Jesper Fahey, la cui omosessualità è nota già dalla prima stagione, intrattiene ora una relazione con il minore Wylan Van Eck, i cui tratti efebici lo fan sembrare ancor più giovane di quanto già non sia: un’ambiguità che è difficile non notare…
Tratto dal ciclo di romanzi ambientati nell’immaginario Grishaverse, creato dalla scrittrice Leigh Bardugo, Tenebre e ossa racconta del regno di Ravka, un tempo unito, ma ora diviso in due dalla Faglia d’Ombra, una regione desertica immersa nell’oscurità e abitata da mostruose creature carnivore. La Faglia è opera di un antico Evocatore dell’Ombra, reo di aver adottato una forma proibita della Piccola Scienza: gli Evocatori altro non sono che una categoria dei cosiddetti Grisha, dei quali la Piccola Scienza è l’arte magica, vale a dire l’arte di manipolare gli elementi.
I Grisha sono dunque maghi, distinti tra loro in Evocatori, Guaritori, Tailor e quant’altro, in base alla loro specialità; tra di loro, i più rari e ricercati sono gli Evocatori del Sole. Solo uno di costoro può estinguere la Faglia che separa l’Est dall’Ovest: zona inaggirabile, dato che i territori a Nord e a Sud di questa sono controllati da regni nemici. Flagellato da guerra e isolamento, al popolo di Ravka Est non resta che tentare in tutti i modi l’impossibile traversata, sotto la guida del generale Kirigan e del suo esercito.
Protagonista della storia è un membro di quest’ultimo, la giovanissima cartografa Alina Starkov, che scopre di essere l’Evocatrice del Sole che tutti agognano. L’attende dunque un lungo viaggio, lontano dall’inseparabile amico d’infanzia Mal, circondata (e contesa) da molti che sperano in lei e molti altri che la temono.
Incuriosisce che Leigh Bardugo, autrice dei romanzi, abbia voluto ispirarsi, per il regno di Ravka, a un mondo periferico a quello occidentale, strutturalmente intercontinentale, vale a dire la Russia imperiale (alfabeto, toponimi, abbigliamento), con la quale si aggira anche l’abitudine fantasy a scegliere l’età medievale, a vantaggio stavolta di quella moderna (palazzi barocchi, veicoli a vapore, armi da fuoco). Scelta probabilmente non casuale e dalle profonde implicazioni narrative e culturali, specialmente se si considera il ricorso anche ad altre tradizioni “minori” (l’imprendibile cervo bianco che fa capolino in diversi episodi ricorda i miti di fondazione ungheresi).
Pur servendosi di un mondo narrativo a tratti insolito, Tenebre e ossa lo utilizza per evocare il sempreverde paradigma del viaggio dell’eroe e tutto ciò che ne deriva: come molti eroi suoi omologhi, Alina Starkov è chiamata a scoprire la sua parte nella grande storia del genere umano, il suo destino all’interno del vasto disegno del cosmo. Il che, oltre a connettere la sua storia a quella di un intero popolo, elevandola allo status di epica, ne fa una (quasi) scoperta riflessione esistenziale. A tutto questo si aggiungono i suoi diciassette anni (diciotto quelli del suo amico Mal), età chiave per qualunque viaggio dell’eroe voglia essere, come spesso accade, anche un racconto di formazione.
La longeva e profondissima amicizia (quasi una simbiosi) tra Alina e Mal viene infatti costretta a fare i conti col sopraggiungere dell’età adulta. E che età adulta: entrambi sono già arruolati nell’esercito di un regno assediato, gettati di fronte all’oscurità letale della Faglia, l’una destinata a scoprirsi il solo Grisha in grado di estinguere quest’ultima, l’altro a sostenere l’amica nel suo compito, nonché a proteggerla dalle grinfie tanto degli ammiratori quanto degli avversari: tra questi il generale Kirigan, detto l’Oscuro, e l’insidioso Kaz Brekker, a capo di una banda di malfattori. Adepti o braccatori, tutti corrono all’inseguimento di Alina.
Ma un sospetto adombra il grande potenziale pedagogico del racconto: in questa sua prima stagione, Tenebre e ossa racconta, di fatto, di una lotta per impadronirsi di persone e talismani in grado di accrescere la propria potenza. Il dubbio è che al cuore della storia dimori non un invito alla crescita, ma alla padronanza di una tecnica. In effetti, a ben guardare, la grandezza di Alina Starkov risiede tutta nei suoi superpoteri, non nella sua persona: e non è differenza di poco conto. Significa, infatti, che l’invito a scoprire l’uomo che vive in ciascun ragazzo, vale a dire il contributo unico che ciascuno è chiamato a dare alla vita del mondo, è solo apparente: non una scommessa sul valore insostituibile e incalcolabile di ciascun essere umano; non una fiducia nella persona, ma una fiducia nel potere.
Occorre tifare – così sembra dirci il racconto – per qualcuno che possieda facoltà eccezionali (nel caso specifico: in grado di governare gli elementi), nella speranza che sia onesto e giudizioso abbastanza da scegliere di utilizzarle a fin di bene (i “buoni”, va da sé, devono riuscire a strapparle ai “cattivi”). Occorre affidarsi a qualcuno che disponga degli strumenti atti a esercitare un controllo efficace sulla realtà del mondo, abilitato a gestirne i maremoti: bisogna, in parole povere, consegnare la propria vita al potente di turno. Beate le Alina Starkov che ce l’hanno, il potere: e speriamo abbiano in programma di farne buon uso anche per noi.
Il ragazzo cui il racconto è destinato non viene dunque esaltato, ma implicitamente azzerato: non gli viene riconosciuto alcun valore in grado di far la differenza nell’ambiente in cui vive, ma solo la possibilità di vagheggiare quanto sarebbe bello un mondo in cui potersi avvalere di un’arte in grado di governarlo. Tutto questo sa di mero escapismo, nel senso meno nobile del termine: anziché dischiudere allo spettatore (alla gioventù) possibilità nuove di coinvolgersi con la realtà, gli fa sognare un potere risolutore (ben altra saggezza è quella che sgorga dalla penna di altri autori, fantasy o meno).
Tuttavia, c’è di buono che per Bardugo e Heisserer (creatore della serie) la vita non è fatta per essere un’eterna infanzia, né l’amicizia una protezione dal mondo: la fratellanza che lega Alina e Mal rischia infatti di involvere in morbosa dipendenza, se non fosse per il cammino tutto nuovo e inatteso che si apre dinanzi a loro. In questo, Tenebre e ossa non usa mezzi termini: la vita è una battaglia. E non è bene ritirarsene, pena il mancare all’appuntamento col proprio destino. Ma, aggiunge anche, evitare l’arretramento è impossibile, se non si è accompagnati da dei fratelli.
In effetti, sembrano suggerirci gli autori, quando si è davvero fratelli, non lo si è mai per sé stessi, per il proprio recinto. Si è fratelli per il mondo…
Marco Maderna
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