Texas. Il rancher Staten Kirkland, vedovo di Amalah, perde il figlio Randall in un incidente stradale. Un anno dopo, Staten è un cowboy solitario e taciturno, corteggiato – senza ricambio – dalla fedele amica Quinn. Ed è assediato, come molti compaesani, dall’incalzante campagna di acquisto di terreni da parte del colosso Austin Water and Power, cui fa da promotore suo cognato Davis Collins. Mentre la cittadina potrebbe essere sul punto di cambiare volto per sempre, qualcosa nelle circostanze dell’incidente fatale di Randall sembra non tornare…
Basato sui romanzi di Jodi Thomas, Ransom Canyon gode di certi pro e soffre di alcuni contro. Tra i contro: una giustapposizione di trame a volte senza impatto decisivo l’una sull’altra, di conseguenza esposte al rischio di trattare non uno, ma molti (troppi) temi in una volta. Tra i pro: uno scacchiere di personaggi intimamente legati tra loro, cosa che ne fa una sorta di famiglia allargata. In questa, vengono confrontate più figure paterne (nello specifico Staten, Davis e lo sceriffo Brigman), qualche figura materna e diverse figure filiali: tre adolescenti (Lucas, Reid e Lauren) e una adulta (il misterioso forestiero Yancy Grey). Nella storia è quindi incluso un raffronto intergenerazionale, nonché un paragone tra epoche, proprio mentre la piccola comunità immersa nel Far West si prepara a decidere di quella futura.
Se la variante narrativa più tipica è quella del figlio orfano di uno o più genitori, Ransom Canyon sceglie invece un padre cui è negato di esserlo. O meglio: che non vuole o non riesce ad esserlo. La verità è che di potenziali figli, di ragazzi in cerca di guida, la comunità di Ransom Canyon è stracolma; e il campo lasciato libero da uomini come Staten Kirkland rischia di essere occupato dai Davis Collins.
La differenza tra i due non è solo quella tra un amante del silenzioso dialogo con la natura (Staten) e un imprenditore urbanizzato (Davis): a dire il vero, a Ransom Canyon la vita di molti si svolge per metà tra le vie cittadine, per metà tra ranch e pascoli. A distinguerli – oltre all’essere l’uno l’emblema della terra e l’altro del denaro – è il fatto che Davis è un dispensatore di regali e un insegnante di mere apparenze. Al contrario, Staten ha – avrebbe – da tramandare nientemeno che sé stesso, una modalità specifica di rapportarsi al mondo: di vivere – si direbbe – in comunione con esso. Comunione tuttavia alterata dall’ingombrante compagnia del lutto.
Non che prima della morte di Randall il suo rapporto col figlio fosse in buona salute: la famiglia Kirkland è fin dall’inizio una delle molte in cui il canale di comunicazione tra genitori e figli è compromesso. Fatto di cui la serie registra non solo le ripercussioni sulla crescita personale, ma su quella di un intero popolo: nel collocarsi a cavallo tra panorama selvaggio e città, tra civiltà dei cowboy e civiltà urbana, il racconto forse non esprime nostalgia per il passato in quanto tale, ma per un passato divenuto incapace di tramandarsi pare proprio di sì. La linea delle generazioni si è spezzata: e, quand’anche inconsapevolmente, padri e figli non fanno che cercarsi per ricomporla, perché il mondo di ieri non resti un mito senza storia, un tesoro senza eredi. Un mondo dalle tracce ancora visibili, non ancora dimenticato, ma già sconosciuto: visibile ma inaccessibile. Inaccessibile come il silente Staten Kirkland, a sospirare il cui (simbolico) ritorno non è soltanto la gioventù: il richiamo più potente e perseverante gli giunge infatti dalla tenacissima Quinn.
Simbolicamente, la storia di Ransom Canyon è dunque diretta verso la ricomposizione di una famiglia. Ma tanto i suoi personaggi – coscienti o meno – l’agognano, quanto le diverse sottotrame sentimentali ne fanno dei volubilissimi amanti da soap opera: vale a dire quel tipo di love story i cui protagonisti non fanno che unirsi, lasciarsi e tradirsi a ciclo continuo, ripetendo i soliti, ingenui, errori. Senza mai imparare la lezione. Può darsi però che questa loro incostanza faccia parte di un progetto consapevole: si tratta in effetti di anime spezzate, orfane o senza prole, senza radici o senza futuro, in irrequieta attesa di una guarigione che non può essere rimandata. Non trovandola, provano maldestramente a raccogliere i propri frammenti, gettandosi in relazioni precipitose. «Ransom» significa «riscatto». Parliamo quindi di ostaggi: di prigionieri in cerca di qualcuno che li liberi.
Marco Maderna