A 180 anni dalla pubblicazione del romanzo di Alexandre Dumas è arrivata l’attesissima serie-evento coprodotta da Italia e Francia.
Con un intreccio che può soddisfare chi in un adattamento va alla ricerca della fedeltà al romanzo e un’interpretazione più contemporanea di temi cardine quali vendetta, perdono e redenzione, la serie ci introduce o ci riporta a un grande classico della letteratura e spinge ogni generazione a interrogarsi sul diritto alla felicità e alle seconde occasioni.
Gli otto episodi narrano l’avventurosa storia del giovane marinaio Edmond, innamorato della bella catalana Mercédès e del mare. Ingiustamente accusato di essere un agente bonapartista, il protagonista viene condannato a quattordici anni di reclusione nel Castello d’If. Qui incontra il saggio abate Faria, che gli rivelerà il segreto di un tesoro custodito nel ventre della deserta isola di Montecristo. Una Itaca di cui Edmond si autoproclamerà conte e da cui salperà dichiarando vendetta a coloro che lo avevano tradito.
Un’epica storia di vendetta, che, proprio al culmine del compimento, precipita nel senso di colpa un protagonista che ha voluto innalzarsi sul trono di una presunta giustizia umana e divina, ponendolo di fronte alle conseguenze delle sue azioni e spingendolo a concedere il perdono e a desiderarlo per sé, sebbene egli lo ritenga ormai fatalmente irraggiungibile. Ciò che resta è il bene disseminato attraverso le ricompense elargite, all’apparenza piccole rispetto alle punizioni inflitte, ma immensamente grandi per chi le ha meritate. Perché solo chi ha provato l’estremo dolore, può gustare appieno la più grande felicità. Come lo stesso Edmond, che scoprendo di poter essere ancora amato e di potere amare ancora, vede riaccendersi in sé la speranza.
Un’opera-mondo difficile da ridisegnare entro confini temporali ben diversi, intesi non soltanto come durata del prodotto audiovisivo, ma anche come contesto storico in cui questa storia è ora calata, e che vede un sistema di valori in parte distante da quello dei contemporanei di Dumas.
Secondo il regista premio Oscar Bille August, per adattare un romanzo «devi trovare una storia nella storia, altrimenti diventa letteratura illustrata. Per essere fedeli a un romanzo bisogna essere infedeli». E infatti proprio nel finale, luogo e tempo in cui una storia ci pone di fronte alla resa dei conti, convergono le trasformazioni più massicce e sostanziali, che contribuiscono a donare all’adattamento un taglio particolare e personale, lasciando aperta una speranza per un amore che, nell’immaginario di Dumas, la vita aveva trasformato inesorabilmente.
Questa scelta sembra abbracciare una visione più moderna della giustizia, che predilige i personaggi “grigi”, ben lontani da quelli immensamente grandi, nel bene come nel male, della letteratura ottocentesca.
Incontriamo qui un Dantès che non perdona, e che viene posto (e che si pone) solo di taglio di fronte alle terribili conseguenze delle proprie azioni. Se nel romanzo Montecristo, colpito dalle ripercussioni di una vendetta che aveva travolto al suo passaggio vite innocenti, si riconosce egli stesso bisognoso di perdono e decide a sua volta di perdonare, qui invece egli compie fino in fondo la sua “giustizia”. Poca rilevanza viene data poi al bene compiuto dal protagonista per cercare di fare ammenda per tutto il male inflitto.
Emerge quindi una sensibilità tutta contemporanea, diversa dal clima ottocentesco secondo cui l’eroe che ha ceduto alle lusinghe del male non può riconquistare senza un grande sacrificio una felicità piena.
E forse il vero grande tema, più che il conflitto tra vendetta e perdono, è proprio il senso del dolore visto in prospettiva del desiderio di felicità che pervade l’uomo. Perché pochi sono i dilemmi umani più ricorrenti e dilanianti del diritto alla felicità. Felicità che è insieme un diritto e un dovere, anche e soprattutto nei confronti degli altri, come Edmond ci insegna nel finale del romanzo.
Ciò detto, la serie non vuole certo essere una difesa o una celebrazione della vendetta, e del diritto alla felicità a tutti i costi: il Montecristo porta con sé l’universalità dei classici della letteratura, il loro essere senza tempo, e insieme di tutti i tempi. Questa serie getta un velo più moderno su temi – giustizia, riscatto e felicità – sempre e tremendamente attuali, mostrandoci un riflesso di un’epoca, la nostra, smaniosa di rivendicare diritti, spesso a lungo negati, e meno rigorosa nel richiamare ai doveri.
Al di là delle naturali differenze tra l’etica ottocentesca e quella attuale, sarebbe interessante capire come venga accolto questo tipo di adattamento del messaggio della storia originale a livello generazionale, attraverso una visione condivisa in famiglia e un confronto su come possa essere interpretato il finale della serie, lasciato volutamente aperto.
Lo stesso cast suggerisce una visione intergenerazionale, perché riunisce i beniamini di tutta la famiglia, dalle star internazionali come Sam Claflin (Pirati dei Caraibi, Hunger Games, I pilastri della Terra, Peaky Blinders) nel ruolo del protagonista e il Premio Oscar Jeremy Irons nelle vesti dell’abate Faria, ai tanti volti del cinema e della televisione italiani, con Lino Guanciale e Gabriella Pession (La porta rossa), Michele Riondino (Il giovane Montalbano), e Nicolas Maupas (Mare fuori).
Adatto a coinvolgere le nuove generazioni anche il taglio da colossal, dato dalla grande ricerca nell’ambito della fotografia, con fonti di luce calde e intense che donano alle scene toni da dipinto, un’estetica a cui fa eco una colonna sonora dalle corde epiche composta dal Premio Oscar Volker Bertelmann (Niente di nuovo sul fronte occidentale).
Chiara Bianchi