In una Hollywood popolata da buffi umani e animali antropomorfi, Bojack Horseman è un cavallo che ha raggiunto l’apice della popolarità negli anni ’90 recitando come protagonista nella sitcom Horsin’Around. Vent’anni dopo, il pubblico lo ricorda ancora solo per quel ruolo e Bojack ha fatto ben poco per fargli cambiare idea, sprecando l’onda del successo conducendo una vita sregolata e prendendo scelte sbagliate, rovinando la sua immagine e quella di chi ha lavorato con lui.
Per rilanciare la carriera di Bojack, la sua agente ed eterna ex fidanzata – la gatta Princess Caroline – propone all’attore di scrivere un’autobiografia, puntando sulla sua nostalgia del periodo d’oro. Bojack accetta quando conosce la ghostwriter che Caroline gli ha affidato, la migliore sulla piazza: Diane Nguyen, una vietnamita americana di cui il cavallo si innamora. Non sa però che Diane è già fidanzata con Mr. Peanutbutter, un gigantesco Golden Retriever con il sorriso sempre stampato in faccia, celebre per aver recitato in Mr. Peanutbutter’s House, la serie rivale che fece chiudere i battenti a Horsin’Around.
Bojack Horseman è un cartone animato che tocca temi complessi anche per un adulto. Anzi, il formato utilizzato dalla serie, così pieno di animali e colori, realizzato dalle matite della fumettista Lisa Hanawalt (famosa anche per la serie animata Tuca & Bertie), è un contrasto voluto al nichilismo di Bojack e al cinismo generale della serie. Per questi motivi la sua visione è consigliata a spettatori maturi: i tanti temi affrontati nel corso delle stagioni possono essere terreno fertile di scambio con famigliari o insegnanti adulti. Inoltre, i continui riferimenti e la critica allo show-biz americano possono essere colti più facilmente da chi conosce i settori del cinema e dell’intrattenimento.
Egocentrico, menefreghista, profondo a parole e superficiale nei fatti, talvolta ingiusto: Bojack Horseman è tutto quello che non vogliamo essere. Bastano pochi minuti dell’episodio pilota per capirlo, lo stesso tempo che serve a realizzare che quel cavallo in jeans e maglione è infelice. Passa il tempo a guardare la serie con cui è diventato famoso, ripetendone le battute a memoria, tra avanzi di pizza e bottiglie di birra vuote, con un coinquilino clandestino come unica compagnia – Todd Chavez, con la voce di Aaron Paul, il Pinkman di Breaking Bad. Bojack è solo: è “amato da tutti, ma non piace a nessuno”. Ma non si può ripetere il passato: Bojack è un Gatsby dei nostri giorni, ma a differenza dell’eroe fitzgeraldiano è consapevole che il sogno americano è solo una truffa.
Bojack si accontenterebbe di stare bene con se stesso, come fa la sua allegra nemesi canina Mr Peanutbutter, sempre gioioso come solo i Golden Retriever sanno essere. Ma Bojack non ci riesce: è in questo suo continuo fallire nella ricerca della felicità, nonostante i suoi numerosi tentativi – arriverà persino a concorrere all’Oscar nella terza stagione – che l’antipatico cavallo diventa irresistibile per il pubblico, facendo di Bojack Horseman una delle serie più guardate su Netflix in tutto il mondo e addirittura la migliore della piattaforma secondo Rolling Stone.
Una panoramica disillusa della società americana e del mondo hollywoodiano
Tuttavia, un successo così ampio non si spiega solamente con l’efficacia del suo protagonista: Bojack Horseman nell’arco delle sue sei stagioni affronta molti temi discussi nella società americana senza mai dare un giudizio definitivo. Dalla guerra al cambiamento climatico, dall’aborto al suicidio, i suoi personaggi prendono delle decisioni in merito, ma spesso se ne pentono, lasciando il pubblico nello sconforto e il senso di fondo di vivere in un universo caotico, dove il confine tra giusto e sbagliato non solo è labile, ma indecidibile, con gli autori che pongono spesso ai personaggi e agli spettatori la questione morale sulla necessità di stabilire o meno tale confine.
Il difficile bilanciamento tra realismo e poesia
Ciononostante, gli stessi autori sanno bilanciare i momenti di buio con pezzi di pura poesia: la terza stagione, forse la migliore, ne è piena, con un finale in bilico tra disgrazia e speranza e una puntata che per molti critici è la migliore della serie. Si tratta della quarta, intitolata Un pesce fuor d’acqua, uno dei migliori episodi televisivi del 2016 secondo la critica, che ricorda Fantasia per il suo stile illustrativo e musicale – realizzato dal compositore Jesse Novak – e il cuore del racconto, che riassume in venticinque minuti i temi principali dell’intera serie: l’incessante tentativo di essere felici e rimediare ai propri errori, l’incapacità di comunicare e la solitudine.
Claudio F. Benedetti
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