La speranza secondo “This Is Us”
“Dobbiamo sperimentare ogni cosa. Non solo il bene, ma anche il degrado, la tristezza… così possiamo conoscere il mondo. E quando conosciamo il mondo, allora il mondo è nostro“
Povere Creature, Y. Lanthimos
Swiney in Povere Creature ci dice ciò che This Is Us mostra con splendida delicatezza sin dai primi due episodi. In un mondo che arranca, vedere questa serie sembra quasi un atto rivoluzionario. Sperare, credere nei legami, negli incontri, in una strada percorsa insieme, è un atto rivoluzionario.
Questa serie parla di speranza, della bellezza dell’ordinario, della normalità delle crisi esistenziali, a sedici, venti o trentasei anni.
I tre fratelli Pearson (Kevin, Kate e Randall) compiono trentasei anni, la stessa età che aveva il padre Jack quando li prese in braccio per la prima volta. Le loro storie si alternano tra presente e passato. La condivisione della stessa data di nascita e della stessa famiglia genera nei “Grandi Tre” interrogativi profondi sull’identità e sul proprio posto nel mondo.
Il dramma familiare spazia dai rapporti fraterni alla genitorialità, dalle dinamiche di coppia alla ricerca di sé. Kate si giudica davanti alla bilancia, Kevin recita in una serie mediocre svendendosi, Randall, apparentemente realizzato, affronta il vuoto dell’abbandono e la
ricerca delle proprie radici. Tre fratelli diversi, ma uniti da bisogni inespressi e da una domanda comune: cosa ci manca?
Le ambientazioni familiari (case d’infanzia e attuali) fanno da sfondo a un punto di vista sempre mobile. Linee narrative e temporali si alternano con ritmo incalzante, spesso troppo rapido con il rischio di rendere alcuni passaggi bruschi, disomogenei e la messa in scena
televisiva e poco realistica. Anche la musica e la regia tendono a guidare in maniera marcata il sentire dello spettatore, lasciando poco margine interpretativo.
Tuttavia, la serie brilla per la profondità dei dialoghi, la solidità delle performance e un montaggio emotivamente efficace. L’equilibrio tra ironia e dolore crea un legame immediato con lo spettatore. Le relazioni sono raccontate con sana leggerezza: i personaggi non incarnano solo le loro fragilità, ma sono esseri umani credibili e sfaccettati.
Tra le tematiche educative centrali spiccano i disturbi alimentari, la dipendenza dall’alcol, la ricerca di successo e approvazione, il difficile rapporto con il proprio corpo e l’eccessiva importanza che ha per noi l’apparenza. Si parla anche di relazioni sane: quella tra Randall e Beth, ad esempio, mostra una coppia complice e consapevole, rara nel panorama televisivo.
Rebecca e Jack ci ricordano che esiste una genitorialità buona, non da combattere ma a cui affidarsi. L’idea di famiglia come porto sicuro emerge anche dalla fotografia: luce naturale e toni caldi ci accolgono. Sembra che la luce sia accesa e la porta sia aperta, pronte ad accoglierci nel prossimo episodio.
L’identità personale, la ricerca del proprio posto nel mondo e la costruzione di legami affettivi profondi sono i veri cuori pulsanti della serie.
Ne L’Istinto di Narrare Gottschall afferma che “Le storie […] influenzano la nostra logica morale”. Noi non solo crediamo sia vero, ma guardando This Is Us lo speriamo vivamente.
Speriamo che la prospettiva ottimista, o forse realistica, del mondo ci contagi. Si parte dai piccoli passi, da uno sguardo che cambia lentamente, fotogramma dopo fotogramma. This Is Us non racconta nulla di nuovo, ma riesce a ricordarci ciò che conta. Ci invita a cercare bellezza nelle cose semplici, nelle persone vicine, nei piccoli gesti. Quando la vita ti dà limoni, This Is Us ti insegna a farci una limonata; forse non perfetta, ma tua. L’asprezza dei limoni, come molti eventi della vita, non ha senso, ma ciò che conta è il significato che decidiamo di darle.
Giorgia Celle, Micaela Gennarelli, Alina Lovotti, Annalisa Villa